Resignation = mi sono stufato e vado via

resignation
Pubblicato da: Daniela Belotti Categoria: Lavoro e mentoring

È il tema caldo del momento: la Great Resignation che dagli Usa si sta espandendo in Europa. 

Milioni di americani stanno lasciando il loro posto di lavoro.

Certo, la maggior parte delle persone che se ne vanno spontaneamente sembra essere, dai dati emergenti dalle ricerche, costituita da quelle che hanno sperimentato un sovraccarico dovuto alla pandemia. E che sono andate in burnout.

Ma non solo loro stanno lasciando.

Per la prima volta il più alto tasso di abbandono è nella fascia tra i 30-45 anni.

Potrebbe essere una facile interpretazione pensare che proprio per questa fascia di età sia aumentato il numero delle dimissioni spontanee perché è contestualmente aumentata la ricerca di figure qualificate di middle management e quindi cercano migliori condizioni occupazionali.

In effetti inserire in un’organizzazione in smart working neo lavoratori senza la possibilità di integrarli al meglio e formarli con un accompagnamento in persona ha fatto preferire a molte aziende la ricerca di persone “già pronte” quindi il mercato per il middle management specializzato si è mosso più del solito.

Certo per qualcunə sarà stato così. E se è così la bolla della resignation si sgonfierà ora che stiamo tornando ad un lavoro ibrido che consente di seguire meglio i neo assuntə e di tornare a formarli.

Ma non si può negare che sperimentando lo smart working le persone si sono ritrovate spesso sole e hanno perso il senso di appartenenza.

Sono mancate le connessioni sociali e interpersonali con i loro colleghi e manager. 

Nel frattempo le persone stufe di essere intrappolate sole nella ruota del criceto hanno riscoperto di avere una famiglia, degli amici e degli hobbies. 

E questo le ha portate a cercare un senso di scopo rinnovato e rivisto nel loro lavoro.

Qualche benefit aziendale non basta più per trattenerle. Non basta concedere uno o due giorni di smart working ogni tanto.

Come non capirle?

Io stessa ben prima del covid e della great resignation ho lasciato una bellissima ruota da criceto, la mia gabbia dorata come l’ho sempre chiamata, preferendo l’incertezza di un lavoro indipendente alla sicurezza di un posto fisso.

Proprio per questioni di lavoro a distanza non concesso. E di manager tutt’altro che empatici.

Un salto nel vuoto.  Ma che emozione uscire dalla gabbia e vedere che fuori c’è un mondo ricco di vita, sentimenti, stimoli.

E non tornerei indietro. La vita è una e c’è altro oltre al lavoro. Soprattutto se non c’è più condivisione di valori.

Ero un po’ più grande della fascia d’età di cui si parla ora, quindi tu potrai dire: ehi boomer quale azienda ti riprenderebbe più?

Forse. Probabile. Non lo saprò mai, perché non la cerco.

É chiaro però che non tuttə possono e vogliono diventare liberə professionistə o imprenditori/imprenditrici.

E allora quale opportunità per le aziende per superare la great resignation? 

Trasformare un motivo di attrito in un’occasione di attrazione

Come? Ascoltando i propri collaboratori, mettendoli veramente al centro.

Da un’indagine di McKinsey risulta chiaramente che i dirigenti senior ritengono che i principali motivi per cui i loro collaboratori lasciano il lavoro ci siano l’aspetto economico, l’equilibrio tra lavoro e vita privata e la scarsa salute fisica ed emotiva.

Questi problemi sono importanti per i dipendenti, ma non tanto quanto pensavano i datori di lavoro. Al contrario, i primi tre fattori citati dai dipendenti come motivi per andarsene erano che non si sentivano apprezzati dalle loro organizzazioni (54 %) o dai loro manager (52 %) o perché non sentivano un senso di appartenenza al lavoro (51 %).

Questi dati aumentano ancora se si fa riferimento ai dipendenti che si classificavano come multirazziali.

Se ne erano andati perché non sentivano di appartenere alle loro aziende, un segnale di come le politiche di D&I devono essere implementate in ogni azienda senza indugio.

Quindi come agire per provare a contenere questa fuga e diventare organizzazioni attrattive per il mercato?

I senior executive devono re-immaginare il loro modo di condurre i loro team. Le competenze che lə hanno resə efficaci nell’era pre-covid non sono più sufficienti.

Il re-skilling di cui tanto si parla deve riguardare anche loro.

I leaders devono sviluppare empatia e compassione per comprendere i bisogni delle persone se vogliono  attrarne di nuove o far restare i collaboratori che hanno già e “iniziare a fornire la flessibilità, la connettività e il senso di unità e scopo che le persone bramano” ( McKinsey).

E quale miglior metodologia per sviluppare agilità emotiva e competenze di condivisione e ascolto se non il mentoring?

Deve però essere un mentoring evoluto, pensato e progettato non solo per lo sviluppo professionale delle  persone in azienda, ma focalizzato sullo sviluppo organizzativo.

Progettato per sviluppare quel senso di appartenenza e condivisione dei valori che sono necessari perché le persone decidano di restare o vi scelgano tra i vostri competitors.

Noi in Bemymentor partiamo proprio da lì. Da una valutazione di quanto i valori scritti nelle carte aziendali siano veramente percepiti e agiti.

Se vuoi saperne di più contattaci per una chiacchierata.

 

Condividi questo post